Forme di elementarizzazione tettonica

responsabile: Marco Ferrari

responsabile: Marco Ferrari

durata: 12 mesi

termine previsto: 31 dicembre 2017

finanziamento: 2.500 euro

tipologia: call di dipartimento

fonte di finanziamento: call 2016 Dppac

Linea di finanziamento 1.b “Progetti di ricerca”

 

descrizione del progetto

La ricerca nasce da una riflessione sulla necessità di recuperare i moltissimi manufatti industriali che in anni recenti hanno invaso le periferie delle nostre città, le campagne urbanizzate (non solo del nord-est italiano) e, non raramente, ambiti territoriali di pregio storico, paesaggistico o ambientale.

Il problema del loro recupero è ovviamente molto complesso, con risvolti di tipo pianificatorio, tecnico ed economico. Esso però è anche un problema specificatamente architettonico: recuperare questi manufatti significa pensarne una nuova e diversa qualità costruttiva ed estetica a partire dalla lettura e comprensione della loro natura più specifica.

Come è noto il capannone è un manufatto edilizio povero, realizzato con strutture prefabbricate in c.a. o (meno frequentemente in Italia) in acciaio. Si compone di poche cose: una struttura portante con un sistema di copertura diversamente articolato e un tamponamento/rivestimento esterno. Da alcuni anni, ci siamo abituati a pensare che l’unica via per riscattarne l’immagine passi inevitabilmente per il ripensamento proprio di questo ultimo (anche per l’inevitabile esigenza di adeguarne le prestazioni energetiche).

La presente ricerca prova allora ad affrontare il problema della risignificazione architettonica di questi manufatti da un punto di vista diverso e quasi opposto. Essa parte infatti dalla convinzione che, di fronte ad un’architettura contemporanea sempre più autoreferenziale nella costruzione del proprio linguaggio, questi manufatti, spogliati dei loro rivestimenti e tamponamenti rivelino inaspettati frammenti di significato e di un ordine che trattiene le ragioni più generali e profonde dell’architettura.

Queste strutture nude (di edifici lasciati incompiuti oppure abbandonati in seguito alla crisi economica) sono forse gli unici momenti in cui le architetture contemporanee si sottraggono al destino di semplici macerie (reali o immaginarie) e si trasformano invece in rovine nel senso che ad esse attribuisce Marc Augè. Esse infatti, come tutte le rovine, riescono a riferirsi ad un “tempo puro”, senza storia, indifferente al fluire degli eventi, di cui ognuno di noi può sperimentarne la consistenza.

 

Ma quali sono, più nel dettaglio, i frammenti di significato che queste rovine contemporanee esprimono?

Principalmente due: da un lato il ricordo dell’abri souverain, dell’archetipo rifugio originale e, quindi, del tema tipologicamente primario dell’aula; dall’altro l’evidenza di un atto costruttivo elementare nella sua espressione più diretta e, talvolta, brutale. Se il primo tema è stato fin troppo indagato, il secondo (che pur non ha una minore profondità storica e disciplinare) raramente e solo tangenzialmente (dai molti studi sulla tettonica) è stato invece affrontato. Ed è proprio di questo che la ricerca intende occuparsi.

Trasformare l’evidenza della struttura costruttiva/formale di quei manufatti, da puro dato edilizio in consapevole valore architettonico è dunque l’obbiettivo ultimo del lavoro. Un evidenza che si basa su regole semplici, su gerarchie esplicite, sul chiaro riconoscimento di ciò che porta e ciò che è portato e del rapporto tra struttura principale e struttura secondaria, sulla semplicità delle connessioni tra gli elementi. Un’evidenza che ci porta lontano dalle tendenze volumetriche e sculturali di molta architettura recente che programmaticamente rifiuta qualsiasi connotazione tettonica, ma che ci porta anche lontano da quelle tendenze che pur non negando la “parola” alla logica strutturale, la riducono a forma difficilmente intellegibile perché controllata esclusivamente dal calcolo numerico.