Tra natura e storia: alla ricerca di una diversa strategia per la sostenibilità

responsabile: Laura Fregolent

responsabile: Laura Fregolent

 

durata: 12 mesi

termine previsto: 31 dicembre 2016

finanziamento: un assegno di ricerca + 1.500 euro

tipologia: call di dipartimento

fonte di finanziamento: call 2015 Dppac
Linea di finanziamento 1.a “Progetti di ricerca con assegno”

 

Il progetto di ricerca si collega ad una recente proposta ed accordo (già siglato) con l’Abbazia di San Giorgio Maggiore – Benedicti Claustra onlus e finalizzato all’allestimento della mostra: Monaci costruttori di paesaggio, che sarà allestita negli spazi dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore (Venezia) a fine 2016, ed ha come obiettivo quello di cogliere le modalità attraverso le quali alcuni contesti territoriali caratterizzati dalla presenza di Abbazie Benedettine sono andati mutando, le relazioni tra l’uomo e i luoghi di riferimento, produzione e vita e soprattutto l’evoluzione dei processi di trasformazione antropica. L’approccio proposto è perciò critico nei confronti di un intervento umano spesso impattante, di relazioni tra bisogni umani e vocazioni territoriali non debitamente considerate, senza però perdere di vista anche gli aspetti positivi di crescita e sviluppo economico di cui tale intervento si è fatto portatore.

L’ordine benedettino fin dagli inizi del suo insediarsi segnò profondamente il paesaggio. Lo stesso complesso edilizio monastico si pone come un landmark, trasformando il monastero in centri nevralgici dell’organizzazione del territorio. La gestione di questi patrimoni fondiari radicò nell’ordine benedettino, così come in altri ordini come quello cistercense, una serie di conoscenze paesaggistiche in cui si mescolavano valori spirituali e istanze squisitamente agronomiche.

A partire dall’estesa letteratura disponibile sui processi di trasformazione avvenuti, la ricerca si propone di ricostruire alcuni quadri specifici del territorio regionale ed evidenziare le trasformazioni paesaggistiche, le dinamiche e le strutture consolidatesi, anche alla luce delle politiche urbanistiche adottate ai diversi livelli.

 

obiettivi

Il progetto che si presenta intende innanzitutto collocarsi in stretta continuità con le ricerche precedentemente condotte dalla proponente sulle trasformazioni territoriali del Veneto, sui modelli di crescita e sviluppo della Regione, ma scegliendo, rispetto al passato, ambiti territoriali per caratteristiche naturali, paesaggistiche, morfologiche, storiche del tutto singolari, di cui si intende comprendere, alla luce delle specificità, la trasformazione intercorsa negli anni della crescita della “città diffusa”. Sono territori urbani ed extra-urbani di cui si dirà dopo peculiari da un punto di vista storico.

La ricerca si pone in continuità con una recente proposta ed accordo (già siglato) con l’Abbazia di San Giorgio Maggiore – Benedicti Claustra onlus e finalizzato all’allestimento della mostra dal titolo Monaci costruttori di paesaggio che verrà allestita negli spazi dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore (Venezia) a fine 2016; il suo obiettivo, dunque, è quello di cogliere le modalità attraverso le quali alcuni territori dove sono insediate (o erano) alcune Abbazie Benedettine sono andati mutando, non solo nel tempo quanto piuttosto nel quadro delle dinamiche territoriali che hanno interessato il Veneto. Sono territori peri-urbani e ambiti urbani che presentano caratteri diversi e che saranno osservati nella loro evoluzione, dinamiche, processi di trasformazione, politiche adottate, conflittualità esistenti, racconti.

L’obiettivo che lega il progetto di ricerca con l’iniziativa supportata dai Monaci dell’Abbazia benedettina è la volontà di indagare il profondo mutamento nel tempo delle relazioni intercorse tra l’uomo e i luoghi di riferimento, produzione e vita e soprattutto l’evoluzione dei processi di trasformazione antropica. Nel tempo questa relazione ha subito delle accelerazioni che hanno comportato la progressiva perdita di controllo sugli effetti delle azioni condotte, l’assoluto smarrimento di un’ancestrale attenzione alle vocazioni, alle fragilità, ai vincoli che territorio e ambiente ponevano e pongono tutt’oggi, la scomparsa della capacità collettiva di mantenere fede ai principi del “buon governo del territorio” che ha contraddistinto in passato la costruzione del territorio che ancora oggi abitiamo ma con assoluta indifferenza per le sue trame e per la sua storia. L’approccio proposto è perciò critico nei confronti di un intervento umano spesso impattante, di relazioni tra bisogni umani e vocazioni territoriali non debitamente considerate, ma senza perdere di vista anche gli aspetti positivi di crescita e sviluppo economico di cui tale intervento si è fatto portatore.

L’ordine benedettino – per gli stessi principi che ne regolavano la vita cenobitica così come per i funzionamenti e i meccanismi economici che ne costituivano le fondamenta materiali – fin dagli inizi del suo insediarsi segnò profondamente il paesaggio. L’ideale benedettino del labor, soprattutto in agricoltura, fece sì che per mano dei monaci stessi, per lo meno alle origini, porzioni di paesaggio più o meno vaste finissero con l’essere da essi “addomesticate”, modellate, costruite. Queste estensioni di terre, talvolta enormi, erano lavorate da fittavoli, coloni o livellari tenuti alla corresponsione di censi al monastero cui esse appartenevano. Per questa ragione, certo non meno che per l’ideale del labor, abbazie e insediamenti benedettini furono protagonisti di un incessante lavorio di gestione del territorio, con una capillarità e una visione d’assieme singolari. Lo stesso complesso edilizio monastico si pone come un determinante landmark, trasformando il monastero in centro nevralgico dell’organizzazione del territorio: nuclei insediativi dinamici capaci di favorire l’insorgere intorno a sé di luoghi abitati e di connotare in modo peculiare persino gli spazi disabitati. Il campo di azione controllato ed organizzato dai monaci poteva consistere in campi già messi a coltura e in spazi incolti da dissodare e restituire alla coltura; in boschi da sfruttare accuratamente e in zone paludose da bonificare; in luoghi da sottoporre a regolamentazione idrica e in terreni arativi di cui migliorare la resa; in vigneti e in valli di pesca esistenti o creati ex novo in base alle esigenze economiche del monastero e della comunità. La gestione di questi patrimoni fondiari radicò nell’ordine benedettino, così come in altri ordini come quello cistercense, una serie di conoscenze paesaggistiche in cui si mescolavano valori spirituali e istanze squisitamente agronomiche.

In area veneta la presenza di insediamenti monastici benedettini fu capillare, eccezion fatta per la zona dolomitica. Ragion per cui ampie fette del paesaggio veneto risultano segnate dagli interventi dei monasteri benedettini e queste istituzioni ecclesiastiche, amministrando per secoli le proprie terre, finirono con il disegnare vaste aree del paesaggio veneto.

I luoghi legati ad Abbazie e Monasteri che si contraddistinsero per il loro operato in zone paesaggisticamente ben definite e che si prenderanno in considerazione sono:

– Abbazia di Praglia (paesaggio collinare e pre-collinare);

– Abbazia di S. Giustina di Padova (un monastero urbano proiettato nella fertile pianura padovana);

– Monastero di S. Pietro in Maone (nel Rodigino, in un contesto di bonifica);

– Abbazia di S. Bona di Vidor (paesaggio collinare nell’area idricamente sui generis del Quartier del Piave);

– Abbazia di S. Felice di Vicenza;

– Monastero di S. Giorgio Maggiore di Venezia (paesaggio lagunare e peri-lagunare);

– Abbazia di S. Zeno di Verona (abbazia urbana, coinvolta nella gestione di un paesaggio assai vario e di intensa bonifica).

A partire da questo quadro di riferimento e in questi contesti ci si propone di:

1) osservare e interpretare in maniera diacronica le trasformazioni del territorio veneto contemporaneo nelle porzioni territoriali sopra identificate e a partire dai nessi tra sviluppo, modelli di sviluppo territoriale, trasformazioni e sostenibilità;

2) individuare e valutare criticamente le aree che presentano forme di resistenza al cambiamento o che hanno manifestato maggiore debolezza a fronte delle dinamiche insediative più recenti; la classificazione delle aree verrà fatta in base:

– a) al loro grado di trasformazione subita e prima ricognizione dei processi che hanno condotto alla modifica dei territori o piuttosto,

– b) al loro grado di resistenza al cambiamento e prima valutazione di fattori di “resilienza”;

3) leggere ed interpretare il carattere delle trasformazioni avvenute anche alla luce delle politiche urbanistiche adottate ai diversi livelli (regionale, d’area e locale), la declinazione di sostenibilità utilizzata, l’attenzione prestata a territorio e paesaggio. Nello specifico verranno analizzati strumenti cartografici diversi (cartografie storiche e non; tavole IGM; foto aeree; ortofoto ecc) e tavole di piani adottati per leggere le proposte progettuali in essi contenute e la loro ricaduta a scala territoriale: il piano e le scelte di pianificazione sono oggetto di analisi delle trasformazioni avvenute ma anche di lettura delle potenzialità di un contesto in continua trasformazione.

 

assegnista

Matteo Melchiorre