Measuring sprawl

responsabile: Stefania Tonin

responsabile: Stefania Tonin

durata: 12 mesi

termine previsto: 31 dicembre 2016

finanziamento: 2.500 euro

tipologia: call di dipartimento

fonte di finanziamento: call 2015 Dppac
call straordinaria Linea di finanziamento 1.b “Progetti di ricerca

 

descrizione del progetto

Nonostante la ricerca relativa allo sprawl sia ormai matura e consolidata a livello internazionale, la questione di come misurare lo sprawl, come identificarlo e quantificarlo rimane ancora incerta. La difficoltà nasce anche dall’ambiguità del termine “sprawl”: ciò che rappresenta lo sprawl per un pianificatore è molto diverso dal significato che vi attribuisce un politico o un ambientalista. Anche all’interno del mondo accademico, lo sprawl rappresenta concetti diversi che dipendono dalla disciplina di riferimento: alcuni si concentrano sugli aspetti sociali, altri lo studiano in termini di libera scelta di mercato, altri ancora gli attribuiscono connotazioni totalmente negative e lo identificano come una seria minaccia ambientale.

I primi tentativi di misurazione dello sprawl risalgono agli inizi degli anni 2000 e si concentravano sulla densità (Fulton et al., 2001; Malpezzi and Guo, 2001; Nasser and Overberg, 2001; Lopez and Hynes, 2003; Burchfield et al., 2006). La densità, generalmente identificata in termini di densità di popolazione ha il vantaggio di essere facilmente misurabile, disponendo dei dati necessari.  In anni più recenti, i ricercatori hanno cominciato a formulare misure più complete e complesse dello sprawl. Ad esempio, Galster et al. (2001) ha disaggregato le diverse tipologie di uso del suolo in otto dimensioni: densità, continuità, concentrazione, clustering, centralità, nuclearità, mixed-use, prossimità. Secondo questa analisi, lo sprawl è tale se registra valori bassi in una o più delle dimensioni appena descritte. Similarmente, anche Ewing et al. (2002) hanno sviluppato indicatori multidimensionali per quantificare lo sprawl e secondo la loro ricerca, lo sprawl è tale se è caratterizzato da: 1) una popolazione ampiamente dispersa in aree residenziali a bassa densità, 2) se esiste una rigida separazione tra i diversi usi del suolo (residenziale, industriale, terziario e commerciale); 3) una scarsa concentrazione di lavoro e residenza nel centro città; 4) una rete stradale caratterizzata da scarsa accessibilità tra un luogo e l’altro.  C’è da aggiungere che tutte queste ricerche sugli indicatori dello sprawl sono localizzate negli Stati Uniti, dove lo sprawl nasce concettualmente e ha trovato ampio approfondimento in letteratura. In Europa, la ricerca relativa allo spraw urbano è ancora limitata all’analisi di casi studio di particolari aree urbane all’interno di contesti nazionali (Fina and Siedentop, 2008) senza alcuna riflessione metodologica su come misurare lo sprawl che vada al di là degli indicatori tradizionali. In Italia, la situazione non è diversa dal contesto europeo, anche se qualche tentativo originale di quantificazione dello sprawl è stato sviluppato da Fregolent e Tonin (2011) e Fregolent et al, (2011).

A supporto dei ricercatori, l’innovazione tecnologica degli anni recenti, ha permesso di ricorrere ampiamente alle tecniche come il remote-sensing utilizzato in combinazione con i sistemi GIS che forniscono dati spaziali quasi prontamente utilizzabili e molto più affidabili rispetto alle foto aree, precedentemente utilizzate, per identificare al meglio lo sprawl urbano. Il remote sensing e il GIS hanno quindi permesso di raccogliere, visualizzare e quantificare i dati spaziali relativi alla dispersione urbana e da queste tecnologie è ora possibile partire per sperimentare nuovi indicatori dello sprawl.

L’obiettivo di questa ricerca è proprio quello di provare a sperimentare nuovi indici di dispersione urbana guardando anche a discipline diverse quali l’ecologia del paesaggio, la geografia, la pianificazione territoriale e l’economia. Tale modo di osservare il fenomeno è anche spunto di originalità perché spesso le ricerche su questo tema hanno trascurato la complessità delle dinamiche che si instaurano ad esempio tra i diversi usi del suolo e che per essere comprese al meglio necessitano di indicatori multidimensionali. Inoltre, in relazione a quanto appena scritto, questi strumenti quantitativi che permettono di monitorare lo stato e l’andamento della crescita urbana possono anche essere di aiuto ai decision-maker per cercare di aumentare la loro conoscenza e orientare al meglio le loro decisioni.

La sperimentazione su questi nuovi indicatori per misurare la dispersione urbana sarà approfondita utilizzando come caso studio il Veneto, approfittando del nuovo aggiornamento della Banca Dati della Copertura del Suolo regionale al 2012 (CCS_2012).

La nuova banca dati è stata migliorata dall’aggiunta di ulteriori 27 classi per il suolo urbanizzato e questo permetterà di migliorare anche le analisi relative alla costruzione di indicatori più complessi per capire al meglio il fenomeno dello sprawl in Veneto, permettendo un confronto con altre soglie storiche che sono già state utilizzate in precedente ricerche (Fregolent e Tonin (2011), Fregolent et al., 2012).

Il Veneto è un caso studio di interesse perché è una delle regioni in cui si continua a registrare un elevato consumo di suolo (Ispra, 2015) e dove la popolazione cresce a ritmi decisamente inferiori a quelli della crescita dell’urbanizzazione. Infatti, in uno studio precedente (Fregolent et al., 2013) sull’area centrale Veneta si osservava che sebbene in media la popolazione fosse cresciuta dell’11% nel periodo 1984-2009, nello stesso periodo, il suolo urbanizzato era aumentato del 65,40%.