Riforme istituzionali nei sistemi multi-livello in epoca di crisi economica e finanziaria – Italia e Germania a confronto

responsabili: Francesca Gelli con Giuseppe Piperata, Tommaso Bonetti

responsabili: Francesca Gelli con Giuseppe Piperata, Tommaso Bonetti

 

visiting professor: Alexander Grasse, Ordentlicher Universitätsprofessor für Politikwissenschaft. Professur für Politikwisenschaft mit dem Schwerpunkt "Politik und Wirtschaft im Mehrebenensystem

Institut für Politikwissenschaft, Justus-Liebig-Universität Giessen

presenza 1 mese - dal 25 marzo al 25 aprile 2015  

 

durata: 12 mesi 


termine previsto: 31 dicembre 2015


finanziamento:  4.000,00 euro


tipologia: call 2014 Dppac

fonte finanziamento: call 2014 Dppac – Linea di finanziamento 2 “Sostegno dell’attrattività internazionale”

 

descrizione del progetto di ricerca

Il progetto, che coinvolge competenze disciplinari diverse (scienza della politica, analisi delle politiche pubbliche, diritto amministrativo, economia politica), ha per oggetto un confronto tra effetti delle politiche di decentramento e riforme costituzionali in Italia e Germania. Sorprenderà che, per quanto in Italia nel discorso pubblico il riferimento alla Germania sia ricorrente, di fatto gli studi politici, e non solo, abbiano finora ignorato in gran parte l’analisi comparata dei due Paesi sul tema in oggetto, argomentando che si tratta di due sistemi troppo diversi (obiezione valida per la comparazione per differenza). La ricerca potrebbe dunque dare luogo a conoscenze di una qualche originalità e rilievo, sul piano dei contenuti e degli orientamenti metodologici disciplinari (usando la comparazione congiunta per concordanza e differenza).

Entrambi i Paesi, pur partendo da sistemi molto diversi, mostrano tendenze analoghe in termini di ridefinizione delle relazioni tra livelli di governo, per obiettivi simili (efficienza dell’azione pubblica, snellimento, crescita economica, freno al debito). La domanda di ricerca è se, sul retroscena di una politica economica liberalista egemone, le nuove riforme in atto nei due Paesi porteranno a risultati simili o divergenti, e se queste riforme:

a) comportino soluzioni innovative e di miglioramento di government e governance,

b) producano effetti negativi, in termini di ri-centralizzazione (anche tramite intreccio di competenze),

c) siano, di fatto, un ritorno allo status quo.

 

Il progetto è articolato in due fasi, entrambe organizzate entro programmi di scambio. Entrambe le fasi vedranno capitalizzate le conoscenze dei docenti coinvolti, che conducono studi di lungo periodo nell’ambito in questione e che hanno condiviso precedenti lavori in comune. L’interazione tra i docenti che costituiscono il gruppo di ricerca sarà arricchita da interviste e confronti mirati con altri studiosi italiani, addetti ai lavori, svolte anche dal docente straniero nel periodo di visiting.

Nella prima fase il focus sarà sul cambiamento del sistema multi-livello italiano, sia a livello macro (riforme costituzionali) sia a livello micro (studio di caso), con l’individuazione di due contesti territoriali per l’osservazione empirica (il Veneto e l’Emilia-Romagna). L’apporto del visiting tedesco in questa fase servirà a tenere sotto controllo eventuali conoscenze consolidate, che spesso si trasmettono acriticamente; tale controllo sarà effettuato attraverso interviste ad alcuni testimoni privilegiati e ai ricercatori italiani. Nella seconda fase, l’analisi delle riforme in Germania sarà svolta in modo analogo (con l’Assia come studio di caso), per osservare differenze e similitudini, con un periodo di visiting del ricercatore proponente (vedi: collaborazione alla ricerca europea).

 

Di seguito si espone, nei suoi presupposti, il tema oggetto della ricerca.

Le sfide poste dai cambiamenti in atto nell’architettura istituzionale dell’Italia, ad opera di importanti provvedimenti legislativi (riforma del sistema parlamentare, del Titolo V; ridisegno delle Province come enti di II grado e istituzione delle città metropolitane, etc.) mettono in luce tendenze sia centralistiche sia localistiche che interessano differentemente città e territori regionali, pur in uno scenario a tutt’oggi di profonda incertezza e ambivalenza, quanto agli esiti.

Il dibattito, nella letteratura specializzata, è articolato su due linee interpretative, divergenti.

L’una, sostiene il prevalere di effetti di ricentralizzazione e rafforzamento dell’autorità e controllo dello Stato, a fronte di una domanda di politiche nazionali in settori strategici dell’azione pubblica e, a partire dal 2007, anche ad esito delle misure anti-crisi e di disposizioni per la razionalizzazione dei costi della spesa pubblica, per l’abnorme debito pubblico. La tesi è che, dopo oltre un ventennio di sperimentazione di politiche di decentramento, si assiste a un indebolimento sostanziale delle autonomie locali (tagli dei trasferimenti, riduzione dell’autonomia fiscale e di investimento dei governi locali; blocco del turn-over; soppressioni di organismi di decentramento urbano, difensori civici comunali, city manager;  riduzione dell’esecutivo; taglio delle Province; obblighi di associazione per i piccoli comuni). Da questa prospettiva, la gestione urbana viene vista come una funzione tecnica, più che di natura politica; la governance locale, la cooperazione tra reti territoriali, implica capacità manageriali, la realizzazione di economie di scala, piuttosto che capacità politiche o processi inclusivi.

L’altra linea interpretativa sostiene il prospettarsi di una nuova finestra di opportunità per i Comuni, di essere protagonisti dell’innovazione istituzionale del Paese. L’enfasi è sulle possibilità e capacità di fare lobbying, orientare i processi decisionali e politici, elaborare politiche e produrre servizi in forme partecipative, di cooperazione inter-istituzionale, con esiti positivi per la redistribuzione delle risorse, il rilancio della competitività dei sistemi territoriali e la maturazione di una (quarta) dimensione della sostenibilità, quella istituzionale. Da questo punto di vista, la gestione urbana viene vista come una funzione anche politica e strategica; la governance locale è in primo luogo la contrattazione dell’interesse pubblico, il modo di individuare le priorità comuni e di definire in forma inclusiva i problemi che si intendono trattare. Questa seconda linea interpretativa inoltre mette a fuoco, da un lato, il crescente conflitto tra Regioni e Città, che si esprime su più tavoli (ad es. su: composizione e meccanismi di elezione del Senato; competenze di città metropolitane e province; redistribuzione delle risorse UE 2014-2020 in sede di progettazione dei POR) e tra Regioni e Stato Centrale (revisione delle competenze delle Regioni in alcune materie importanti e ri-accentramento dei poteri nello Stato); dall’altro, l’attivismo delle Regioni nella gestione degli effetti sociali e territoriali della crisi economica, attraverso differenti misure di intervento e politiche, anche con soluzioni creative.

In Italia durante tutto il processo di decentramento (in senso federalista), nel dibattito sia politico sia scientifico, la Germania è stata quasi sempre una specie di stella polare (non di rado, fraintendendo alcuni dei processi in atto nella Repubblica federale tedesca). Anche la Germania, analogamente all’Italia, sin dagli anni ’90 ha cercato di aumentare l’autonomia dei suoi Länder. La politica di ri-federalizzazione consisteva, da un lato, in maggior efficienza del settore pubblico, con relativi risparmi (evitando sovrapposizioni di istituzioni, compiti, etc.), dall’altro in più democrazia e governance partecipativa, in termini di potere discrezionale dei parlamenti e governi regionali (ridotati di competenze effettive, per quanto riguarda il governo dei sistemi territoriali). L’esito (insoddisfacente o almeno ambiguo) sono state le riforme costituzionali del 2006 (che introdussero il divieto di cooperazione tra Bund e Länder in varie materie, quali la pubblica istruzione/università, diventata quasi esclusivamente competenza dei Länder) e del 2009.

Ne è conseguito che i Länder, con la crisi finanziaria e di seguito economica (2008), in termini finanziari sono meno autonomi che mai. Nella prima fase (2009-10), di successo, la crisi fu affrontata con una politica economica anticiclica finanziata sul deficit (e non con l’austerity!). In seguito, l’indebitamento è drammaticamente cresciuto per le ridotte entrate tributarie (dovute a politiche fiscali di ispirazione neoliberista) e spese crescenti; in periodi con ottimi tassi di crescita (2010-11 più del 3% del PIL) la maggior parte dei Länder non riesce a presentare un bilancio senza un nuovo indebitamento.

Di qui, si cerca un accordo su una nuova riforma costituzionale che potrebbe diventare un parziale roll back rispetto alla riforma del 2006; ne potrebbe risultare maggior cooperazione intergovernativa con ritorno all’intreccio delle competenze in alcuni settori, e più centralismo. I margini di azione dei Länder, infatti, si assottiglieranno in seguito al divieto costituzionale a partire dal 2020 di accensione di credito (freno all’indebitamento/Schuldenbremse, diventato modello per il Fiscal Compact dell’UE): una clausola controproducente, perché impedisce ai Länder politiche effettive di crescita e sviluppo. Il Bund, che ha diritto di indebitarsi del 0,35% annuo rispetto al PIL, sembra disponibile a cederne ai Länder 0,15% in cambio di un controllo più rigido federale sui bilanci dei Länder. A livello comunale, i comuni in bancarotta con il cosiddetto piano di salvataggio già da tempo ricorrono a sussidi dei Länder cedendo il proprio potere politico (kommunaler Schutzschirm), una specie di commissiariamento leggero, mentre altri comuni sono in cerca di politiche locali più autonome ed innovative, aperte alla società civile.