Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

Venezia Trasparente

 

 

È interessante osservare come spesso alcuni termini di uso quotidiano abbiano un’origine che raramente risulta intuitiva. Il verbo latino perspicio, da cui deriverà il termine prospettiva, viene tradotto in italiano con “vedere attraverso, scorgere”. Il concetto rinascimentale che vede la prospettiva come un principio di rappresentazione appartiene a un campo semantico strettamente geometrico. In questa evidente eterogeneità credo che vi sia comunque un elemento comune. Entrambe sono accezioni che innegabilmente rimandano a un senso, la vista, e al suo strumento, l’occhio.

 

“È colpa – o merito – delle vedute e delle prospettive veneziane […] È anche colpa – o merito – di tutto questo marmo, intarsi, capitelli, cornicioni, rilievi e modanature, nicchie abitate e disabitate, santi, non santi, vergini, angeli, cherubini, cariatidi, frontoni, balconi con i loro robusti polpacci al vento, e relative finestre, gotiche o moresche. Perché questa è la città dell’occhio: le altre facoltà vengono in seconda linea, e molto distanziate. […] Qui l’occhio nuota davvero: guazza, guizza, oscilla, si tuffa, si arrotola. La sua gelatina esposta indugia con gioia atavica su tutte le meraviglie riflesse nell’acqua, palazzi, tacchi a spillo, gondole, eccetera, riconoscendo in sé – e in nessun altro – il grande strumento che le ha fatte affiorare alla superficie dell’esistenza” (Brodskij, 1991, pp. 27-28).

 

Se Venezia è quindi “la città dell’occhio”, una città fatta di prospettive, potremmo forse iniziare a immaginarla come una città in cui l’occhio non si limiti a percepirne le superfici, ma sia in grado di attraversarle, non tanto in senso fisico quanto nell’idea di comprendere che l’effetto complessivo sia garantito da una pluralità di relazioni tra singole entità locali, all’interno di un fitto tessuto urbano. Non vi è una semplice geometrizzazione delle sue vedute o, perlomeno, non solo. La prospettiva, in una città apprezzabile quasi totalmente per mezzo di una mobilità lenta, porta con sé un’obbligata sovrapposizione di piani, un continuo susseguirsi di scene. Il risultato, per quanto sussistano esiti più o meno evidenti, contiene in sé un equilibrio ottico tra volumi tridimensionali e sfondi bidimensionali. “Chaque motif d’architecture pris à part est symétrique, mais chaque groupe est traité comme un paysage les masses seules se pondèrent” (“Ogni elemento architettonico scomposto è speculare/simmetrico ma ogni gruppo viene trattato come un paesaggio in cui le masse si pesano vicendevolmente” (Choisy, 1899, p.419). Auguste Choisy, nel XIX secolo, analizzando la composizione volumetrica dell’Acropoli di Atene, aprì la strada a ciò che poi sarebbe stato definito Promenade Architecturale (il concetto di Promenade Architecturale viene utilizzato per la prima volta nella storia e nel linguaggio del Movimento Moderno da parte di Le Corbusier per descrivere l’esperienza spaziale di camminare all’interno di Maison La Roche-Jeanneret e Ville Savoye) ossia un concetto simile a quello delle sequenze cinematografiche, ma in un’ottica puramente spaziale-architettonica. La ponderazione dei volumi e la loro disposizione apparentemente casuale, esito di uno studio sulla possibile percezione, permettono all’osservatore attento di acquisire una nuova e consapevole soggettività: l’esperienza visuale è dinamica. “Une vue d’angle est plus pittoresque, une vue de face plus majestueuse: à chacune son rôle; la vue d’angle est la règle, la vue de face une exception toujours motivée” (“Una veduta angolare è pittoresca, una veduta frontale maestosa: a ciascuna il suo ruolo; la veduta d’angolo è la regola, la visione frontale un’eccezione comunque motivata”) (Choisy, 1899, p.416). L’ambiente non assume la valenza negativa di un labirinto, ma diventa un itinerario in cui l’occhio, inteso come parte per il tutto, non si perde all’interno dello spazio. Attraverso la ‘lettura’ del luogo, la retina coglie gli elementi che si espandono in ogni direzione. Dal movimento attento all’interno di uno spazio deriva una consapevolezza sensibile.


Immagine che contiene testo, cornice

Descrizione generata automaticamente

 

James McNeill Whistler, The Traghetto No.2, stampa, 1879-80, The Metropolitan Museum of Art, New York

 


 

Immagine che contiene testo, vecchio, arco

Descrizione generata automaticamente

 

James McNeill Whistler, Two Doorways, stampa, 1879-80, The Metropolitan Museum of Art, New York

 


Questo bilanciamento, in grado di rendere così suggestiva ed evocativa la città lagunare, lega la città anche al concetto di ‘trasparenza’. Colin Rowe e Robert Slutsky, qualche decennio più tardi, riprendendo quanto anticipato da Gyorgy Kepes in Language of Vision (1944), definiscono il concetto di “Phenomenal Transparency” (M. William Turner, Approach to Venice, olio su tela, 1840, National Gallery of Art, Washington DC. È il risultato di un’organizzazione dello spazio in una stratificazione che include anche una sedimentazione temporale, in cui i piani non interagiscono tra loro annullandosi o secondo un processo diacronico, ma condividono reciprocamente materia, attraverso la necessaria compenetrazione ottica tra singoli volumi.

 


 

Immagine che contiene testo, erba, disegnando, sorgente

Descrizione generata automaticamente

 

J. M. William Turner, Approach to Venice, olio su tela, 1840, National Gallery of Art, Washington DC

 


“Se una forma spaziale ci impedisce di vederne un’altra, non ne deduciamo che questa smette di esistere perché è nascosta. Riconosciamo, guardando queste figure che si sovrappongono, che la prima, cioè quella che si sovrappone, ha due significati spaziali – sé stessa e ciò che le sta sotto. […] Se vediamo due o più figure che si sovrappongono parzialmente, e ciascuna pretende per sé la parte sovrapposta in comune, siamo di fronte a una contraddizione di dimensioni spaziali. Per risolverla dobbiamo presupporre l’esistenza di una nuova qualità ottica. La trasparenza tuttavia implica qualcosa di più di una caratteristica ottica – cioè un ampio ordine spaziale. Trasparenza significa percezione simultanea di diverse situazioni spaziali. Lo spazio non solo regredisce, ma fluttua in un’attività continua” (Kepes, 1986, pp. 80-81).

 

Possiamo quindi iniziare a vedere Venezia come una città dinamica e trasparente e non come “morto inventario di fatti ottici” (Kepes, 1986, p.106). L’abbandono della prospettiva lineare rinascimentale, intesa come congelamento dello spazio dinamico in un sistema geometrico statico, a favore delle più contemporanee letture spaziali d’avanguardia artistica, fu esito di uno scenario storico-culturale in forte rinnovamento. In quest’ottica, quindi, la lettura di Venezia potrebbe costituire anche un esempio metaforico del contemporaneo periodo storico. Potremmo forse iniziare a percepire il dinamismo come obbligata compresenza di fattori piuttosto che come staticità. Dovremmo iniziare a comprendere la possibilità di “vedere attraverso” piuttosto che accettare l’arida presa di coscienza delle macerie. Impareremmo, o re-impareremmo, a ‘vedere’ in trasparenza.

 

 

Bibliografia

 

Broskij 1991

I. Broskij, Fondamenta degli incurabili, Adelphi Edizioni, Milano 1991 (Watermark 1989).

 

Choisy 1899

A. Choisy, Histoire de l’architecture (Tome I), Gauthier-Villars, Imprimeur-Libraire du Bureau des Longitudes, de l’Ècole Polytecnique, Paris 1899.

 

Kepes 1989

G. Kepes, Il linguaggio della visione, Edizioni Dedalo, Bari 1986 (The Language of Vision 1944).

 

Rowe, Slutsky 1963

C. Rowe, R. Slutsky, Transparency: Literal and Phenomenal, Perspecta 8 (1963), pp. 45-54.