Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

Strade possibili di orientamento etico alle discipline del progetto

 

 

Anche la nostra stessa esistenza può allegoricamente essere pensata come una strada, in cui al posto delle pietre miliari (inserite ad ogni miglio nelle antiche strade romane ad indicare il punto in cui si era ma soprattutto la distanza da Roma) abbiamo le nostre sensazioni, o le nostre esperienze più importanti, fondanti il nostro essere-nel-mondo (Dasein Heideggeriano). Molti artisti hanno riflettuto e lavorato in merito a questa concezione dello spazio. La strada della coscienza etica e della riflessione attorno agli aspetti più esistenziali, legati all’esperienza sensibile dell’individuo, è sempre aperta e ben tracciata dalla storia del pensiero e dalle pratiche contemporanee. Tuttavia negli ultimi decenni, proprio a fronte di una decadente assenza di attenzione estetica nella creazione di infrastrutture, si è visto un aumentare considerevole di opere d’arte pubblica in relazione agli spazi architettonici esterni nei quali vengono poste, vissuti quotidianamente dalle persone che vi abitano, sia durante l’infanzia che in altre fasi della propria esistenza.

L’attenzione che gli artisti hanno attribuito al lavoro in contatto con le comunità può essere letta come una sintesi positiva a fronte dell’inaridimento della coscienza delle masse, sia pur essa estetica o etico-politica, succube di dettami tecnocratici e globalistici, oblianti la necessità del sensibile e della soggettività.

Non conosco il momento in cui nelle città venne a mancare l’attenzione verso la creazione di ambienti eleganti e soavi, quasi fiabeschi, trasformatisi in asettici nonluoghi (celebre espressione coniata da Marc Augè), ma a partire dagli anni settanta le nuove tendenze, soprattutto del panorama italiano, non hanno tenuto conto delle necessità poetiche intrinseche alla percezione degli esseri umani, favorendo piuttosto una progettazione che rispondesse a necessità impellenti, divenute in seguito nocive a cause del modo con cui le persone vedono e vivono determinati spazi comuni. Tutto ciò senza che fosse chiesto a queste ultime di esprimere un parere sulla progettazione del luogo che avrebbero vissuto quotidianamente. Questa è una delle cause concomitanti che ha creato il principio della complessa e sempre più diffusa sensazione nelle masse di aprassia totale e di immodificabilità delle scelte di coloro che amministrano la cosa pubblica, e quindi del mondo stesso e delle strutture politiche.

Scrive Norberg-Schultz nel suo saggio magistrale in cui accosta la fenomenologia alla progettazione urbanistico-architettonica:

“La pretesa [della scienza] di voler presentare l’unica verità ha condotto in parte alla scomparsa della scuola delle discipline qualitative” (Norberg-Schulz, 2002, p. 68).

“Secondo Heidegger, ciò che è inquietante non è tanto che il mondo si trasformi in un unico enorme apparato tecnico, bensì lo è molto di più il fatto che non siamo affatto preparati a questa radicale trasformazione del mondo. Ma, giungendo al terzo grado del pensiero di Heidegger, deve preoccupare maggiormente l’assenza di un pensiero alternativo al mero saper calcolare: in tedesco, “Denken als Rechnen”, il pensiero come calcolo” (Galimberti, 2007).

Ancora Schultz:

“I bambini leggono ancora le fiabe. Ma le insegnanti sottolineano che sono soltanto fiabe. [...] A questo punto bisogna riconoscere che l’atomismo e la quantificazione sono strumenti insufficienti alla comprensione dell’universo quotidiano” (Norberg-Schulz, 2002, p. 68).

“Come già concludeva Franz Kafka ne Il Processo: Le leggi della logica sono incrollabili ma non resistono a un uomo che vuole vivere” (Norberg-Schult, 2002, p. 69).

 

Secondo Schultz quindi, il bisogno di una scienza capace di afferrare le strutture della vita, per migliorarle coscientemente e provare ad avvicinarsi al mondo psico emotivo dell’uomo, si fa sempre più pressante. Proverà quindi nel suo saggio a chiarire i principali tratti di una cosiddetta fenomenologia atta al superamento della mera scienza atomistica quantificabile.

 

L’Ateneo nostro dovrebbe scegliere che strada teorica intraprendere per la formazione di progettisti che, come ripete spesso il nostro Maestro Alberto Garutti, si assumano, e sappiano cosa significhi assumersi, la responsabilità storica del proprio ruolo, nella creazione degli spazi della vita e per la vita, a prescindere dal fatto che viviamo tutti nell’epoca dell’“onnimercificazione dell’essente” (espressione tratta dal filosofo S. Latouche). O meglio, l’Ateneo dovrebbe anche solo scegliere di intraprenderne una di strada teorica, forse non solo che già fornisca conoscenza etica, critico-filosofica, ma anche puramente storica. Dov’è finito il corso di Letteratura artistica, magistralmente retto per decenni da Manfredo Tafuri? Qual è la ragione della sua scomparsa dall’insegnamento delle discipline del progetto?

 

Si chiede Salvatore Settis nella sua lectio magistralis tenuta in onore della laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Reggio Calabria e intitolata “L’etica dell’architetto”, paragonando gli intenti di Ippocrate e il suo giuramento alla professione dell’architetto e analizzando i dettami di Vitruvio:

 

“I.1,1. La scienza dell’architetto richiede l’apporto di molte discipline e di conoscenze relative a svariati campi. Egli dev’essere in grado di giudicare i prodotti di ogni altra arte. […]

2. Perciò gli architetti che costruiscono senza una cultura adeguata non hanno un successo corrispondente al loro sforzo; mentre quelli che si impegnano sulla sola teoria inseguono un’ombra, e non la realtà. Solo chi padroneggia sia la pratica che la teoria è dotato di tutte le armi necessarie e può conseguire pieno successo.
3. [...] L’architetto deve dunque avere ingegno naturale ma anche sapersi sottoporre alle regole dell’arte [...]. Deve avere cultura letteraria, essere esperto nel disegno, preparato in geometria e ricco di cognizioni storiche; deve avere nozioni di filosofia e di musica, saper qualcosa di medicina e di diritto, ma anche di astronomia e astrologia”

 

e quindi:

 

“In questo ‘giuramento di Vitruvio’ vi sarebbe molto bisogno, io credo, di un ingrediente della formazione dell’architetto a cui Vitruvio dava grande importanza: la storia. L’architetto di Vitruvio, infatti, historias plures novisse oportet, “è opportuno che conosca molti racconti storici”. Il curriculum formativo, al tempo di Vitruvio, non comprendeva un insegnamento formale di storia, e perciò egli si riferisce, al plurale, alle storie che l’architetto deve conoscere. Ha senso chiederci, oggi, se l’architetto deve conoscere la storia, anzi quale storia (o quali storie) deve conoscere? La World Medical Association continua ad ‘aggiornare’ il giuramento di Ippocrate (ad esempio, cancellandone il divieto di aborto), e in tal modo ne riafferma implicitamente la perenne attualità: analogamente, anche noi potremmo, anzi forse dovremmo, chiederci di continuo quali, delle qualità che Vitruvio chiedeva all’architetto, siano ancora attuali. L’astrologia certo non lo è più. Ma la storia è ancora fra queste?” (Settis, 2014, p. 7)

 

A noi la formulazione di una possibile risposta.

 

 

Bibliografia

Norberg-Schulz [I ed. 1996] 2002

C. Norberg-Shulz, Architettura: presenza, linguaggio, luogo, Skira, Milano 2002.

 

Settis 2014
S. Settis, L’etica dell’architetto e il restauro del paesaggio, Lectio magistralis aula magna architettura, Reggio Calabria 14 gennaio 2014.

 

Galimberti 2007

U. Galimberti, Critica al pensiero calcolante (conferenza), Trento, 2 giugno 2007.