Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

The W project

 

 

- Venezia è in vendita signori! Sold out! Sold out Venice! -

Fra le bancarelle della Riva degli Schiavoni un ometto, con la verve di un banditore, agita nei pugni una manciata di collanine e portachiavi. Si muove irrequieto, seminascosto sotto uno spesso strato di vestiti istoriati da un’imbarazzante quantità di scritte VENICE. L’euforia collettiva del Carnevale trita e consuma tutto, ma la folla radunata attorno a lui ritorna vigile appena si accorge che l’uomo non sta intrattenendo un pubblico: egli urla in direzione del mare.

In lontananza, una Grande Nave osserva placida la scena. Il venditore ambulante alza la voce e inizia a scagliare i souvenir oltre la banchina tagliando l’acqua come un macellaio. La nave da crociera riprende a pascolare indisturbata, fuori dalla portata della lapidazione. Prima dell’arrivo della polizia, entrambi si saranno eclissati: l’una transitando indolente verso il nulla, l’altro fagocitato col suo carretto di falsi ricordi dal bailamme della festa.

 

Non è stato un episodio isolato: già da qualche giorno si vocifera di personaggi simili, venditori ambulanti che intralciano il traffico accampandosi come zingari, che ingombrano e sporcano. Ma con gli afflussi di turismo delle festività, generalmente si chiude un occhio al ‘decoro’, almeno finché non compromette il libero commercio dei corpi. Superato il periodo di caos e complice l’effetto di risacca della fine del Carnevale, il fenomeno che tutti credevamo accidentale sta addirittura intensificando il suo impatto sulla neo-ritrovata quotidianità dei veneziani, scatenando l’intolleranza generale. Ricordo forti momenti di tensione, militanze cittadine che battono le calli con fumogeni casalinghi, come a stanare e uccidere un’enorme nidiata di ratti. Senza risultato, perché questi individui appaiono e scompaiono come fossero padroni della città e dei suoi segreti. I più paranoici di noi sono arrivati a rinforzare le serrature di casa, diffondendo l’assurdo timore che loro avrebbero trucchi speciali per aprire tutte le porte. L’impressione, in effetti, è che un popolo parassita e abusivo stia abitando invisibilmente la città, spargendo tracce e provocando pruriti e sfoghi.

Tempo fa fui disgustata da un fatto: mi accorsi che degli insettini minuscoli, bruni e rotondi, avevano invaso la credenza del pane. Ripulii meticolosamente, buttando via il pane secco e tutti i residui di farina che avevo accumulato nei mesi. Ammetto, era una zona che stavo trascurando da un po’. A ben pensarci, è nella natura delle cose vive trovar casa in luoghi dimenticati o divenuti inospitali per qualcun altro. La biodiversità non conosce abbandono.

 

L’assurdità è che questi non osservano nessuna delle normali regole di convivenza e educazione. Sembrano totalmente indifferenti all’autorità cittadina, si comportano come fossimo noi gli intrusi. Non ci rispettano. Sono dei selvaggi, ma tutto sommato non sono incivili: lasciano le strade molto più pulite di come le lasciamo noi. Raccolgono anche la spazzatura di quei carri-bestiame di turisti. Tra l’altro, ormai da un po’ anche loro hanno iniziato a raggrupparsi in piccole carovane muovendosi in processione. Una volta ho seguito uno di loro che vagabondava. Ha camminato per ore col suo carico di roba, battendo ogni tanto con un portachiavi su un cestino o su un lampione: pareva stesse eseguendo un rituale. In via Garibaldi, l’ho persino visto aggirare meticolosamente il solco vuoto che un tempo era stato un’edicola. Verso sera, col buio, ha imboccato una direzione precisa, raggiungendo una darsena in San Pietro di Castello, appena dietro lo stadio. Da lontano si intravedeva un campo erboso dove altri suoi compagni carovanieri stavano accendendo un falò. Tutto intorno si sentiva un tintinnare di campanelle che per un po’, irrazionalmente, ho creduto essere di una mandria di mucche. Infatti c’era un recinto di barche ormeggiate che oscillavano sbattendo l’una contro l’altra. Quando mi sono avvicinata per interagire, non mi hanno degnata di grandi attenzioni: al contrario di noi, non sembrano nutrire alcun fascino per l’esotico. Io invece li ho osservati per tutta la notte: davanti a me avevo una comunità al principio della sua nascita e già completamente autosufficiente. Addirittura, potevo intuire gli sviluppi del progresso tecnico e di una certa qualità artigianale: chi di loro non usava i telefoni, aveva realizzato elaborati copricapi e accessori con le cover degli smartphone, altri stavano intagliando frecce rudimentali dai bastoni per selfie. Un paio di volte, in futuro, li avremmo visti saettarle contro qualche Grande Nave-pachiderma, conservando il dubbio che stessero scimmiottando chi li aveva targati come fenomeni da baraccone non riconoscendo loro un’identità. C’era un’incongruenza nella loro immagine che mi si è rivelata molto tardi. Dagli abiti ai cappelli e alle sciarpe, su tutti gli slogan osceni del loro abbigliamento era stata ricamata una W. Ovunque si leggeva WENEZIA, non Venezia. Pensavo che il loro attaccamento ai gadget, ai souvenir, all’abbigliamento I<3VENICE fosse ostinazione o ostentazione, invece è un costume culturale che non ha più niente a che fare con il turismo di massa. Come se una nuova civiltà, con un proprio codice linguistico, sia nata dagli escrementi della società dei consumi.

 

La promessa di libertà della vita nomade mi aveva quasi persuaso ad unirmi a loro. Qualcuno in verità l’ha fatto: a poco a poco la loro comunità si è ampliata e trasformata, raccogliendo una quantità di volontari, soprattutto giovani, studenti, attivisti. Alcuni si uniscono solo per brevi periodi, altri hanno compiuto una scelta di vita; ognuno alla fine ha la propria storia.

Se non sei aggiornato, adesso capita che tu non riesca quasi più a distinguere chi di noi sia uno di loro o viceversa, per cui finisce che ci si saluta tutti per strada con lo stesso affetto di prima. Ormai sono così numerosi che intralciano continuamente il flusso, ma il turista affascinato dalla loro presenza non ne risente troppo e il veneziano ha le sue scorciatoie segrete. Comunque ora, così come erano apparsi, se ne sono andati. Credevamo non avessero meta e invece alla fine hanno trovato l’uscita. Se ne parla ancora, interrogandosi sulla natura della loro operazione, e non si sa se definirli selvaggi, iconoclasti, provocatori o anarchici. I conservatori insistono a definirli zingari, per i più cinici sono solo dei matti. Forse erano artisti. La città ha sofferto per poco la loro scomparsa, ma solo perché ha recuperato in fretta le vecchie insofferenze e la primitiva usanza di pubblico decoro, che lenisce ma non cura. Decora, appunto. L'autenticità della loro presenza, che non rivendicava idoneità né diritti per il solo fatto di sussistere, ci ha destabilizzati. Si comportavano come se Venezia fosse un luogo abbandonato, una carcassa pronta a ospitare un nuovo ciclo di vita, e questo ha di fatto trasformato noi cittadini in fantasmi. Della loro permanenza qui, ho percepito un dubbio nei cittadini: Ma se Venezia è morta e il ciclo della vita già se ne sta riappropriando noi chi siamo? Fantasmi?

In questo senso sono stati una presenza scomoda: hanno reso evidente il paradosso per cui Venezia si conserva identica a sé stessa: si finge morta per non morire.

 


 

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